home raccolta supplementi
[ creditori e debitori ]
Artaud - Qualcuno doveva a van Gogh una certa somma di denaro a proposito della quale, ci racconta la storia: van Gogh già da parecchi giorni, si faceva cattivo sangue.[1] 
Certamente la verità sul possessore di queste scarpe potrebbe anche stabilirsi conoscendo la personale misura del piede di van Gogh per farne il raffronto con la pointure delle scarpe peintes.[2]
Anche così accertata, la verità in calzoleria non sarebbe affatto la verità in peinture, solo la verità in pointure: verità misurata, clinica e podologica.[3]
Pur avendo intascato realmente l’oggetto e la “cosa” pittorica, pesante, concreta, finalmente liberata dalla narrativa e dal discorso, i creditori ritengono che il debito di verità non sia completamente estinto, quasi mancasse ancora un agio dovuto a chi si è voluto preoccupare personalmente di mantenere in ordine il discorso attorno a queste determinate attività dell’uomo: la pittura e l’arte.
I creditori hanno fatto del loro meglio per far credere che il soprappiù di “verità” dovutogli dalla pittura sia caduto fuori dalla pittura stessa; e lì sembrano aggirarsi per riscuoterlo: nella cornice, sull’etichetta dei quadri; magari anche pedinando il motivo fin dentro la bottega delle calzature per accertarsi del pagamento in contanti e della solvibilità del pittore.
Ci si deve forse aspettare la verità geologica sul monte Sainte Victoire, come la verità proprietaria sulle scarpe di van Gogh?
I termini mobilitati per il dibattimento - l'origine, la verità, l'opera d'arte - vagano e divagano.
Affidandomi alle impressioni suscitate dalla disputa, ho visto la pittura trascinarsi nelle aule di giustizia, invocare la perizia ortopedica, perorare l’intervento politico.
L'origine cercata nel Diritto, la verità nei Referti, l'opera nel Patrimonio, risolve e dissolve l'Arte nella Giurisprudenza, l’Estetica nel Codice civile, l’Opera d’arte nel diritto d'Autore. 
Sta a vedere che Vincent si è sparato un colpo in pancia per risparmiarsi l’ingestione di simili arringhe legali con i conseguenti dolori alla trippa.[4]

Cézanne o van Gogh non sono affatto obbligati a dire (o confessare) la verità inerente il soggetto o il motivo pittorico ai creditori (presi nelle reciproche accuse di proiettare le proprie personali ideologie sulle opere della pittura).

- Che c’è da vedere in questo quadro di van Gogh?
- “Nient’altro che un paio di grossi scarponi da contadino. L’immagine non rappresenta proprio niente” – dice il filosofo.[5] “Un paio di scarpe da contadino e null’altro”tiene a precisare.[6]
Forse è proprio la visione di questo null’altro che genera le scarpe stesse, l’opera d’arte e il balzo indietro…
- Ma, allora, la verità sorge dal nulla?
Sembra proprio di sì. [7]
Molti pittori hanno paura della tela vuota, ma la tela vuota a sua volta ha paura di un pittore appassionato che sia anche audace – che una volta per tutte abbia rotto l’incantesimo del non sai fare.[8]
Come Cézanne non prometteva di “dire” quanto di “dare” la verità (in pittura), neppure van Gogh cercava il suono [9], bensì la suola della verità - che non si dice ma si dà, proprio come una concretissima pedata.

Benché privo di mezzi, anche van Gogh vantava dei crediti.
Da riscuotere, e da scontare.
Ma non a certe condizioni.
Difatti: dovendo noi considerare “un mezzo assai comune come un paio di scarpe da contadino”, è risaputo che nel mezzo c’è sempre il mare - proprio come tra il dire e il dare di mezzo c’è appunto il fare.
Con la semplice ostensione del quadro la pittura si sottrae al “discorso” e alla sua polizia per affermare il “questo” pittorico, la propria verità resa tangibile ai sensi quale realtà immediata della pittura senz’altro; magari anche senza neppure più il pittore che l’ha prodotta.
Il mulino non c’è più, ma il vento soffia ancora”, ricorda Vincent a Theo in ben altro frangente.[10]

[1] - Antonin Artaud, Van Gogh, il suicidato della società, Adelphi edizioni, Milano 1988, p. 35.
[2] - Senza considerare che avrebbero potuto anche essere di una misura superiore o inferiore, ossia non calzargli a pennello - procurargli fastidio o piaghe.
[3] - Ancora tra il ’60 e il ’76, proprio là dove aveva affermato che non si poteva stabilire “dove si trovino” le scarpe dipinte nel quadro di van Gogh, Heidegger ritenne necessario perfezionare quel “né dove” del 1935 con un più tardo “né a chi appartengano”. Tanta pervicacia contribuisce a rendere irrilevante l’attribuzione delle scarpe al contadino o al pittore – forse in favore dell’Essenza della scarpa metafisica [traduzione: “tra i due litiganti il terzo (il testo) gode”]. Su proprietà e possesso vedi sotto, in Materiali.
[4] - Vedi varie nature morte con aringhe affumicate, dipinte da van Gogh.
[5] - Heidegger, Introduzione alla metafisica, 1935, trad. di Giuseppe Masi, ed. Ugo Mursia, Milano 1968, p.46).
[6] - Heidegger, Origine Ni68,  p. 19. 
[7] - Heidegger, Origine Bo06, p. 71.
[8] - Vincent a Theo, Nuenen 2 ottobre 1884 (n. 464-378.79). Altro in Materiali. - Vincent non teme la tela vuota come non ha timore di scarpe o di sedie vuote. Perché? Perché “nella prassi l’uomo deve provare una verità, cioè la realtà e il potere, il carattere immanente del suo pensiero” (Marx, cfr. infra nota 10 del § [paesaggio con bosco e due figure spaiate].
[9] - Si è persino tagliato l’orecchio! Come una suola con il trincetto. – Ricordo un episodio legato al pittore Giulio Turcato che negli anni sessanta insegnava “figura disegnata” al Liceo Artistico Statale di Roma in via Ripetta. Un giorno un suo ingenuo allievo gli chiese un parere circa il disegno di un orecchio della modella. Turcato, senza neppure guardare il disegno dello studente, inarcò le sopracciglia per la noia, quindi, con la sua voce nasale, gli disse: “L’orecchio?... Ma quello fa parte di ornato…!”. E in effetti “ornato disegnato” era un altro insegnamento del corso condotto da un altro insegnante.
[10] - Vincent a Theo, Nuenen 2 ottobre 1884 (n. 464-378.79). Vedi [il gallo il mulino e il vento].
ALTRE FIGURE ESISTENTI
1. Natura morta con aringhe (F 203); Parigi, estate 1886; olio su tela cm.45.0x38.0; Otterlo, Kröller-Müller Museum.
2. Natura morta con aringhe (F 283); Parigi, estate 1886; olio su tela cm.21.0x42.0; Basilea, Kunstmuseum (Staechelin Foundation)
3. Un paio di aringhe affumicate su un pezzo di carta gialla (F 510); Arles, gennaio 1889; olio su tela cm.33.0x41.0; Coll. privata
4. Un paio di aringhe rosse (F 283a); Arles, gennaio 1889; olio su tela cm.33.0x47.0; Francia, Coll. Francis Junker.






MATERIALI (alle note del paragrafo)
Nota 3 - “La proprietà sul bene di consumo al momento del suo impiego, sarebbe bene non chiamarla col termine di proprietà, sia pure seguito dagli aggettivi: personale, individuale. Essa consiste nel rapporto per cui chi sta per sfamarsi tiene in mano il cibo e nessuno vieta che lo porti alla bocca. Anche nelle scienze legali tale rapporto non si definisce bene come proprietà, ma come possesso. Il possesso può essere di fatto e materiale, ovvero anche di diritto e legale, ma implica sempre il “tenere nel pugno”, la fisica disposizione della cosa. La proprietà è il rapporto per cui si dispone di una cosa, senza che si debba tenerla nelle mani, per effetto titolare di un pezzo di carta e di una norma sociale.  La proprietà sta al possesso come in fisica l’actio in distans di Newton sta all'azione di contatto, alla diretta pressione.” [Elementi dell’economia marxista, testo di partito (Programma Comunista)]
Nota 8 - « Ti dico che si desidera essere attivi non bisogna aver timore di fallire né di sbagliare. Molti ritengono di diventare buoni evitando di fare del male! È una menzogna e tu stesso dicevi che era una menzogna. Non porta che al ristagno e alla mediocrità. Non c’è che da buttar giù qualcosa quando si vede una tela vuota che ci sta a guardare in faccia con una sorta di imbecillità. Non hai idea di quanto possa paralizzare lo stare a fissare una tela vuota: è come se dicesse al pittore Non sai far nulla. La tela ti sta a guardare come un idiota ed ipnotizza alcuni pittori, a tal punto da farli diventare degli idioti essi stessi. Molti pittori hanno paura della tela vuota, ma la tela vuota a sua volta ha paura di un pittore appassionato che sia anche audace – che una volta per tutte abbia rotto l’incantesimo del “non sai fare” ». [Vincent a Theo, Nuenen 2 ottobre 1884 (n. 464-378.79)]
VALIGIE
parte seconda H.D.S. MAROQUINERIES